Changò

CHANGÓ (SHANGÓ)
ORICHA/SANTO Santa Barbara
SESSO Divinità maschile
CARATTERISTICHE Padrone del fuoco, del lampo, del tuono, della guerra e dei tambores batá; impulsivo, collerico e donnaiolo; figlio di Ibaibó e di Yemú; sposo di Oyá e Obba; padre degli Ibeyis
ORICHA/COLORE Bianco, rosso
ORICHA/NUMERO 4, 6, 12, 21 e 36
ORICHA/MALATTIA Scottature
ORICHA/ANIMALE Montone, gallo rosso, tartaruga, cavallo, pernice, quaglia
GIORNO DELLA SETTIMANA Il sabato
FESTA 4 dicembre

Changó, nella “Santería”, si colloca gerarchicamente come Dio del Fuoco: la saetta e il tuono, il ballo e la bellezza virile sono la sua simbologia. In vita fu uno dei fondatori del regno di Oyó, un guerriero impavido, ma anche mondano, incline al comando, donnaiolo, attraente e litigioso.

È il dio della guerra e a lui appartengono i tamburi sacri “batá”: Iyá, Itótele e Okónkolo, che vengono utilizzati per le cerimonie più importanti. Questo “oricha” viene continuamente chiamato per affrontare battaglie e per garantirsi il successo. Osaín gli preparò una pozione perché sputasse fuoco e si liberasse dei suoi nemici; quando si sentono i tuoni si dice che è Changó che fa festa con le sue donne.

I suoi colori sono il rosso e il bianco; viene rappresentato come un uomo attraente ed alquanto spavaldo. Il suo trono naturale è la Palma Reale e da lì guarda tutto ciò che lo circonda, proteggendo i pescatori ed i guerrieri. È inoltre indovino e stregone, e non accetta figli codardi.

Il suo “fundamento (o “otanes”) è costituito da una “sopera” in legno di cedro che viene collocata, fuori il “canastillero su di un mortaio rovesciato come a ricordare il momento in cui si unì agli altri guerrieri nella lotta, abbandonando così il “canastillero”. Tra i suoi attributi vi sono la doppia ascia o ascia bipenne (che simboleggia il potere della sua fertilità), il calice e la spada, elementi questi ultimi, che derivano dalla sincretizzazione di questo “oricha” con l’immagine cattolica di Santa Barbara.

Quando “monta” uno dei suoi figli, ossia, quando uno dei suoi “figli” viene da lui posseduto può trovarsi sottoposto a dure prove, come fare salti spettacolari, giravolte incontrollabili o toccare il fuoco. Si dice che questi siano volenterosi, energici, festaioli, bugiardi. In suo onore si sacrificano l’agnello, il gallo rosso, la quaglia, la tartaruga, e altri animali. In Changó si concentrano le più grandi virtù ed i peggiori difetti, rappresenta infatti il fuoco ma anche la protezione da esso, in sostanza è ambivalente come un qualsiasi mortale.

Coltivare l'”iguapelé” è di fondamentale importanza nella Santería. Gli yoruba dicono che: “L’uomo che non coltiva l’iguapelé non ha nulla nella vita in quanto egli non riesce ad apprezzare nulla di essa”. Changó è il paradigma di tale proverbio. La sua risata contagia e inganna e di tutti di tutto egli si burla. E come la solennità non è contraria al buon umore, nei “wemileres”Changó invita cerimoniosamente a partecipare al ballo, spingendo gli spettatori a coinvolgersi nelle celebrazioni grazie alla musica, che funge da elemento di legame e di comunicazione nella relazione credente-divinità.

La complessità del legato di cui è depositaria la “Santería” si manifesta anche nella estrema eleganza delle vesti. Il “trono” di un iniziato al culto di Changó è di una straordinaria accuratezza; in esso domina il rosso nelle decorazioni e nelle vesti di gala che rappresentano l'”oricha” come un Re poderoso.

Caminos di Changó (ossia i vari modi in cui la divinità si manifesta) sono:
Obba Lube è Changó quando è con Obba;
Obbara è Changó povero, straccione e bugiardo;
Obbaña quando è il re dei tamburi batá;
Changó Eyée è Changó guerriero;
Changó Alaye e Changó Elueke quando si presenta con l’ascia bipenne;
Oba Koso è Changó impiccato;
Changó Olufina quando è in relazione con la ceiba;
Alafi Alafi è Changó re dei re.

Changó nei “Patakíes”

Nell’insieme degli aspetti che caratterizzano Changó, svolgono un ruolo fondamentale i “patakíes” che raccontano le sue prodezze e ci presentano un referente pieno di connotazioni magico-religiose, mettendo in risalto l’attitudine degli uomini nei confronti delle forze soprannaturali rappresentate nel proprio “oricha” e negli spiriti nel culto degli antenati, tutti considerati fonte per spiegare molti fenomeni osservati dagli uomini.

Questi “patakíes” continuano ancora oggi ad esercitare influenze determinanti dal punto di vista antropologico giacché sono l’espressione più genuina della tradizione orale, la memoria collettiva trasmessa di generazione in generazione e dell’acquisizione di quelle nozioni “simultanee” che caratterizzano i processi della transculturazione.

Uno di questi “patakíes” narra di come una volta il popolo stesse attraversando una profonda crisi vivendo in una immensa povertà, quando i “babalawos” decisero di riunirsi per tentare di trovare una soluzione al problema. Di conseguenza dettero inizio alla consultazione divinatoria (registro) e tutte le richieste risultarono negative. Si appellarono allora a Olofín. Questi consigliò loro di pregare, offrendo loro delle zucche (“elegddé”) affinché si sfamassero. Gli “awos” uscirono delusi non capendo perché Olofín, ricco com’era, gli avesse offerto solo delle zucche. Lungo la strada incontrarono Changó diretto anch’egli da Olofín. Gli consigliarono di non perdere il suo tempo. Egli ignorò il loro consiglio, e, apprezzando il dono di Olofín, prese la sua zucca, tornò a casa e andò al lavoro. Rientrato a casa, sua moglie gli comunicò che la zucca era piena di monete d’oro. Anche i “babalawos” vennero a conoscenza dell’accaduto e quando domandarono a Changó come fosse diventato così ricco, lui disse che era per la zucca. Gli “awos” tornarono da Olofín il quale chiese loro cosa avessero fatto delle zucche che gli aveva dato. Essi risposero che le avevano regalate, e Olofín disse: “Peccando di orgoglio avete ceduto a Changó la fortuna che vi avevo donato”. Per questa ragione la zucca è considerata il salvadanaio di Changó.

Un altro “patakí” racconta di come Changó venne promosso al livello di “oricha” da Olofín dopo essere stato ammonito per la condotta da tiranno tenuta durante il proprio regno, comportamento del quale si è poi pentito; da quel momento, Changó governa dal cielo, lanciando saette, tuoni e tempeste e suscitando l’ammirazione di tutti sulla terra.

È attraverso i sistemi di divinazione e mediante i “patakíes” che il “santero” interpreta e comunica adeguatamente il volere degli dei. Le norme morali da essi derivate sono all’interno di un raggio d’azione umano. Di conseguenza le virtù stimolano il comportamento del credente e i suoi errori lo tengono allertato sulle conseguenze che ne possono derivare.

La “Santería” offre un livello di flessibilità che nasce dalla volontà di ricerca dell’equilibrio e del miglioramento delle condizioni umane, nell’arco degli elementi considerati sacri per il “santero”, ossia la famiglia, la casa, i rapporti. La “Santería” permette la partecipazione ai suoi rituali anche a persone che non sono iniziate o credenti. Come sistema filosofico, la “Santería” dà spazio alla riflessione, al ragionamento ed alle trasgressioni, caratteristiche proprie degli “orichas” e degli esseri umani. Le “moyugbas” (preghiere) e le canzoni superano i limiti geografici e temporali, così come Changó non bada a frontiere lanciandoci i suoi fulmini e inviandoci le sue tempeste ovunque ci troviamo, a conferma del suo carattere dinamico e scherzoso.

Changó non è il fuoco che arde nell’inferno, è la fiamma della vita, è la vita stessa che non ci perde di vista per ricordarci il vecchio proverbio yoruba “Osé burukú, Olorum ri wo” (“L’occhio di Dio ti guarda quando non ti comporti bene”).